Il «si è fatto sempre così …» è farisaico

Il «si è fatto sempre così ...» è farisaico

La confusione tra Sacra Traditio e tradizione umana

Il titolo dell’articolo è provocatorio ma fino a un certo punto, e nasce dal dato di fatto che il conflitto tra Gesù da una parte e la maggioranza degli Scribi e dei Farisei è sempre stato molto acuto.

Tra le cose che Gesù è venuto a compiere c’è anche la corretta indicazione nell’osservanza delle Leggi, le quali sono uno strumento di efficacia per l’applicazione della volontà di Dio.

Il Cristo chiama “ipocriti” (υποκριτικός, ypoktitikós)

coloro che applicano al dettaglio le Leggi senza avere il cuore circonciso e quindi in grado di accogliere un seme nel terreno fertile. Il termine, in clima ellenistico, la cui influenza era incisiva ai tempi di Gesù, indica l’attore, il teatrante. Il Signore non ha dunque detto esplicitamente ai Farisei che sarebbero “cattivi”, perché in realtà osservavano le Leggi, ma li ha definiti “teatranti”, ovvero coloro che portavano una maschera.

La discussione verte sulla sostanza delle cose e investe anche l’ambito biblico sia nella parte dell’Antico che del Nuovo Testamento, coinvolgendo dunque anche noi Cristiani.

Nel loro fervore fatto di apparenza, i Farisei avevano decretato che certi riti e determinate usanze consigliate per i Sacerdoti, divenissero obbligatorie anche per il popolo. Abluzioni ovunque, segni rituali a profusione e altri corollari minori divennero quasi maniacali fino a far crescere il numero degli obblighi fino a 613 questo è il numero delle mitzvot (taryag mitzvot = תרי”ג מצוות).

Si arrivò ad uno scontro quando i rabbini chiesero a Gesù perché gli Apostoli non eseguivano le abluzioni previste prima di mangiare. Il problema sfocia dunque in ciò che si deve intendere come “tradizione”.

Per chi si dice Cattolico la tradizione non è recitare la Santa Messa in Latino o pregare in un determinato modo prescritto nei secoli. La realtà è che Sacra Tradizione, il secondo pilastro della Dottrina Cattolica dopo la Bibbia e prima del Magistero, indica ciò che è stato riferito all’interno della Rivelazione, tenendo conto che essa si è chiusa con la morte di Giovanni apostolo.

Il Magistero DEVE cambiare alcune cose che sono fra le sue competenze, per aiutare la custodia e la diffusione del messaggio, ma non DEVE toccare ciò che è stato sancito dalla Rivelazione.

Sono sterili le polemiche o gli scrupoli sulle decisioni del Magistero, perché opponendosi ad esso, che è il custode della Sacra Traditio, significa tradire la Rivelazione. Anche se avessimo opinioni contrarie, sarebbe un atto di superbia pensare che il Magistero non abbia pensato all’attinenza delle sue decisioni alla tradizione apostolica.

Smettiamola dunque di chiamare “tradizionalista” (ad eswempio) chi vuole la Santa Messa in Latino (che fra l’altro NON è proibita se non negli ambienti in cui si tende a strumentalizzarla).

Semmai il vero tradizionalista, a giusta dimensione, è proprio il Magistero, rigido custode della Rivelazione, che corregge gli errori umani introdotti attraverso i secoli e aiuta a comprendere meglio il significato profondo della Parola di Dio.

Siamo portati in modo naturale a semplificare e banalizzare alcune cose per renderle più vicine alla nostra comprensione: dobbiamo invece fare lo sforzo di accettare che non tutto ciò che non comprendiamo debba per forza essere sbagliato. Sostenere che «si è sempre fatto così …» indichi perennemente una cosa giusta, è dunque un’ipocrisia perché dimostra la poca volontà di approfondire i contenuti.

L’importanza della purezza del cuore

L'importanza della purezza del cuore

Senza di essa nessun segno o miracolo può convincerci

Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
(Dalla liturgia)

Leggendo questo brano, Natanaele (chiamato anche Bartolomeo) non dà l’idea di essere una persona particolarmente brillante. Sembra, per quel poco che si può capire da una breve frase, un uomo ben radicato nei suoi sciocchi pregiudizi («Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»).

Ma Natanaele (Bartolomeo) era una persona onesta. Lo dice Gesù stesso: «ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità». La sua naturale sincerità, la sua rettitudine di vita lo rendeva naturalmente aperto alla rivelazione del Signore. È bastato poco («ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi», gli aveva detto il Signore) per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio e il Re di Israele.

Se pensiamo che i capi dei Giudei hanno deciso di uccidere Gesù dopo che Egli aveva manifestato ben altrimenti la propria divinità, facendo risorgere Lazzaro già da quattro giorni cadavere, capiamo che nessun segno del cielo può illuminare la nostra mente né riscaldare il nostro cuore se non abbiamo un animo ben disposto ad accoglierlo.

Chiediamo a Dio di mantenere puro il nostro cuore, così da essere pronti a scorgere quei segni che il Signore continuamente ci mostra, e non rischiamo di lasciare passare invano la grazia di Dio dalla nostra vita.

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

Conoscere il Signore e convertirsi alla sua Parola

La conoscenza delle Scritture e la coerenza di vita portano ad una fede matura e viva

«In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
(Dalla liturgia).

«Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», ci ricorda Gesù. Il cristianesimo non è individualismo, ma comunità. La comunità cristiana può essere composta anche da due o tre persone.  L’importante è riunirsi nel nome del Signore, il Risorto.

Nella Chiesa primitiva le comunità erano piccole. Essendo piccole, i membri delle comunità si conoscevano tra di loro, si chiamavano per nome e si amavano tra di loro con amore autentico. Perciò, i pagani, vedendoli, esclamavano: «Vedete come si amano!».

Con l’Editto di Costantino, popoli entrarono a far parte della Chiesa. Il Battesimo veniva dato come oggi vengono date le lauree ai giovani. Molti entravano a far parte della Chiesa senza essere istruiti e senza una vera conversione a Cristo Gesù. Così si cominciò a perdere il senso della Chiesa, del Battesimo, della Parola di Dio, dell’Eucarestia della unione fraterna. L’appartenenza alla Chiesa diventò più giuridica che spirituale. Se oggi in Italia abbiamo ancora un po’ di fede è grazie ai movimenti ecclesiali e i gruppi di preghiera che lo Spirito Santo ha suscitato dopo il Concilio Vaticano II.

In questi movimenti ecclesiali si studia e si conosce di più la Bibbia, si ascoltano di più gli insegnamenti del clero e si pratica di più la comunità cristiana. Tra i fedeli che frequentano il tempio ogni domenica c’è fede autentica o è solo religiosità naturale? Molta gente va in chiesa per tradizione o per dovere. Nonostante l’assidua frequenza domenicale, molti fedeli vivono nel mondo come se Dio non esistesse e conoscono poco la dottrina cristiana. Quante persone hanno la consapevolezza di riunirsi nel nome del Signore e di fare Chiesa?

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

Lampade e olio, fede e opere, elementi indissolubili

In entrambe le coppie di elementi, uno è mutilato dall’assenza dell’altro

«Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
.
(Dalla liturgia)

Per salvarci non basta credere, nel senso di ritenere con l’intelletto che Dio esiste, che è una sostanza in tre persone, che Gesù è la seconda persona della Santissima Trinità che ha assunto la nostra natura nel grembo della Vergine Maria e che è morto per noi, è risorto e ora vive per sempre, in anima e corpo, nella gloria del Paradiso.

Questo è necessario, è come avere le lampade. Ma non è sufficiente. Dobbiamo avere anche l’olio, cioè le buone opere, Infatti avere fede significa anche credere che le parole che il Signore ci ha lasciato sono vere, affidabili. Sono comandi che devono essere messi in pratica perché noi possiamo avere una vita piena e realizzata in questa esistenza terrena, con tutti i limiti e le difficoltà che ben conosciamo, e una esistenza eternamente felice nel paradiso.

Una fede che non cambiasse il nostro modo di pensare e di agire, che ci lasciasse vivere e pensare come chi cristiano non è, non è vera fede: non ci può essere di giovamento in questa esistenza terrena e non ci può aprire le porte della vita eterna.

«Figlio dell’uomo», un titolo significativo

«Figlio dell'uomo», un titolo significativo

Gesù si definisce così, parlando in terza persona

L’appellativo «Figlio dell’uomo» viene assunto da Gesù, e lo troviamo solo nei Vangeli, anche se in quello di Giovanni si colora di sfumature diverse.

Ma cosa significa «Figlio dell’uomo»? Si tratta di un modo di esprimere la natura umana del Cristo? Anche! Ma la risposta non è così semplicistica.

In diverse apocalissi ebraiche, anche nel Libro di Daniele, e nella letteratura enochiana, si riferisce a un personaggio ancora misterioso che sarà inviato da Dio nell’ultimo giorno con una funzione di giudice.

I Vangeli ci indicano però che Gesù svolga questa funzione già in questo mondo (Mc 2,10).

La funzione del giudice eterno risulta dunque in una prospettiva di sofferenza superata.

L’indicazione data da Gesù è comunque chiara in riferimento a sé stesso: risulta infatti una perifrasi che sostituisce il pronome “IO” (Mt 5,11: «… per causa mia …», Lc 6,22: «… a causa del Figlio dell’uomo».

Vediamo ora di mettere a confronto l’interpretazione ebraica e quella cattolica:

Secondo l’esegesi ebraico messianica, si riprende Isaia (Is 53,10) da cui si dedurrebbe che «Figlio dell’uomo» è uno dei nomi col quale il Messia stesso si chiama, per far comprendere a tutti la sua incarnazione in un corpo umano ed espiare così i peccati dell’uomo. In questo caso l’appellativo viene inteso come “stirpe dell’uomo” (Adam), per definire il genere umano: con la resurrezione dai morti si vince definitivamente la morte (Sal 16,8-10).

Per noi cattolici il titolo in questione ci chiama ad andare un po’ più in profondità. Nel definirsi «Figlio dell’uomo», Gesù si pone come giudice aggiungendo al parametro distributivo e compensativo, anche il dono gratuito della propria vita. Solo questo può rendere possibile la vita eterna in paradiso. Dio ha scelto di riparare i danni del peccato originale, offesa a Dio, una compensazione gratuita del sacrificio di un uomo che è anche Dio. Il Cristo, come Dio non può soffrire né morire, ma come uomo si!

È la sublimazione della kenosis (discesa), in cui Dio si spoglia. Ma siccome ogni kenosis di Gesù precede un’elevazione, abbiamo l’ascesa al Cielo del Cristo risorto.

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

Zizzania e grano crescono insieme, come il bene e il male dentro di noi

«Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti».
(Dalla liturgia).

La spiegazione della parabola della zizzania è chiarissima: non servono commenti per interpretarla.

È necessario ed urgente invece prendere sul serio questa parola di Gesù: nella realtà di questo mondo, così come lo conosciamo, il bene e il male coesistono. E, se vogliamo essere sinceri, nel cuore di ciascuno di noi trovano posto sia il bene che il male.

Nel mondo di là non sarà così: male e bene saranno divisi per sempre, in paradiso non c’è posto per il dolore, la tristezza, la cattiveria, nell’inferno non si trova alcuna forma di bene, ma solo rabbia, malvagità, disperazione.

La scelta spetta solo a noi.

Anna e Gioacchino: l’incarnazione di Dio che diventa Storia

Anna e Gioacchino: l'incarnazione di Dio che diventa Storia

Dio ha unito la sua storia con quella degli uomini

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano.
In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».

(Dalla liturgia).

I nomi dei genitori di Maria non sono ricordati nei vangeli canonici, cioè in quelli che la Chiesa insegna essere stati scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, ma sono riportati da un vangelo apocrifo.

Diversamente dai quattro vangeli canonici, i vangeli apocrifi sono opere scritte più tardi, più lontane quindi dagli avvenimenti della vita di Gesù, e spesso raccontano vicende storicamente non attendibili, e comunque di essi la Chiesa non ci garantisce la credibilità. La tradizione dei nomi dei genitori di Maria è comunque molto antica, risale ad un’opera di circa diciannove secoli fa.

In ogni modo, più che sulla certezza sul nome dei genitori della Vergine Maria e sui racconti legati ai loro nomi, possiamo chiederci perché la Chiesa ci fa celebrare la festa dei genitori di Maria, e quindi dei nonni di Gesù. Celebrare la festa dei nonni di Gesù significa inserire la storia di Gesù, l’incarnazione di Dio, nella storia concreta di una famiglia umana, di una genealogia.

L’incarnazione di Dio che si fa uomo passa attraverso la storia degli uomini.

L’incarnazione non è un qualcosa di astratto, ma si è realizzata sul serio, per mezzo di persone che, come noi, hanno un nome e un cognome. È una storia di uomini, ma è anche una storia di Dio.

Attraverso le normali vicende di un’ordinaria famiglia arriva il dono di Dio che supera ogni pensiero e ogni aspettativa. Maria è stata concepita dai suoi genitori come è stato concepito ogni essere umano, ma Dio, sin da quell’istante, in previsione dei futuri meriti di Cristo, la ha preservata da ogni macchia di peccato.

I genitori di Maria, si chiamassero Anna o Gioachino o meno, sono considerati santi tanto dalla Chiesa d’Occidente che da quella d’Oriente. Essi vissero santamente la loro normale esistenza, ma sicuramente non pensavano di concepire una figlia preservata dal peccato originale, e di diventare poi i nonni di Gesù, vero uomo e vero Dio!

Hanno vissuto nella santità quotidiana la loro esistenza, non cercando cose eccezionali, ma cercando di fare la volontà di Dio nelle vicende di ogni giorno.

Cosa ci insegna questa vicenda? Cerchiamo di vivere nelle nostre giornate in grazia di Dio, evitando il peccato e cercando di fare la sua volontà. Il resto lo fa Lui, e spesso sono cose tanto belle e tanto grandi che neppure riusciamo ad immaginarle, perché l’agire e il pensare di Dio è molto più grande di ciò che possiamo aspettarci ed immaginare.

Mitzvót: i 613 precetti

Mitzvót: i 613 precetti

Le regole del fare e non fare nell’ebraismo ortodosso.

Il Talmud spiega che la Torah contiene 613 precetti ai quali i fedeli devono attenersi per svolgere il proprio ruolo nel creato.

Sono i Mitzvot (מצוות), ovvero due serie di indicazioni obbligatorie che si suddividono in proibizioni e obblighi.

Il numero così ampio viene collegato dal valore numerico (Ghematriah) del termine «Torah» che è pari a 611, a cui vanno aggiunti i primi due comandamenti, nei quali Dio parla in prima persona, arrivando così al num ero totale di 613.

Ma anche questa somma viene fatta risalire a un significato di fondo: sarebbe la somma tra 365 (i giorni massimi che si raggiungono in un anno) e 248, che sarebbe il numero delle componenti del corpo umano.

Si tratta però di un numero e di una serie di regole che nasce dall’influsso di Mosè Maimonide, filosofo e talmudista vissuto a cavallo tra il XII e il XIII secolo, ma che è accettata dalla maggior parte delle scuole rabbiniche, pur non essendo vincolante. Alcuni rabbini propongono infatti liberamente altri numeri.

Tra i mitzvót ne troviamo molte che risultano interessanti ai fini di approfondimenti. Per esempio al n° 173 troviamo l’obbligo a eleggere un re d’Israele una volta radunate le dodici tribù.

La prima regola è «credi nell’esistenza del Signore», ma la lista prosegue con molte altre indicazioni vincolanti, come il rispetto per i forestieri, il non ricorrere alla vendetta, non serbare rancore. Seguono anche proibizioni relative alla consultazione di indovini e alla costruzione e adorazione di idoli: a questo proposito al n° 53 è previsto l’obbligo di distruggerli con i loro accessori, qualora se ne incontrassero Al bando sono anche medium, negromanti e magia in genere.

All’interno dei mitzvót troviamo anche obblighi e proibizioni che hanno a che fare con l’estetica: non tagliare i capelli ai lati della testa (per questo incontriamo ebrei ortodossi con lunghi riccioli che partono da sopra le orecchie), non radere gli angoli della barba con una lama, non tatuarsi, non vestirsi da donna (per gli uomini), non vestirsi da uomo (per le donne).

Ogni ebreo dovrebbe esporre un Mezuzah (מזוזה = stipite), che è un contenitore a cilindro che contiene le prime due parti dello Shemà in pergamena, sulla porta di casa.

Non manca l’obbligo di non lavorare e riposarsi il sabato, il primo e settimo giorno di Pesach (Pasqua) e praticamente in tutti i giorni in cui ricorrono le feste ebraiche (shavuot, kippur, ros haShana, ecc.). Nei sette giorni dello Sukot si dovrebbe obbligatoriamente vivere in una capanna.

Ci sono anche regole che sono comprensibili soltanto nel contesto antico e negli usi del tempo arcaico, come ad esempio quella di non ripudiare la donna che hai costretto a sposarti, o l’obbligo della vedova senza a risposarsi fino alla risoluzione dei rapporti col fratello del marito.

Tra il n° 139 e il 154 c’è l’elenco dei rapporti incestuali da evitare, seguono i divieti a rapporti sessuali con le bestie.

Il divieto di rapporti omosessuali si trova al punto 157, e il 158 specifica il divieto di rapporto omosessuale col proprio padre.

I divieti relativi al cibo sono specifici e si arriva a proibire di cibarsi della buccia dell’uva, dei suoi semi, dell’uva fresca e dell’uva passa.

Citiamo ancora obblighi e proibizioni relativi alle impurità, che sono veramente a 360° comprendendo anche il contatto con i cadaveri.

Gesù che dorme nella tempesta indica i tempi di Dio

Gesù che dorme nella tempesta indica i tempi di Dio

La nostra natura limita la comprensione del disegno divino

Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva.
Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia.

(Dalla liturgia).

L’azione di Gesù ci mostra la potenza della sua divinità. Dio ha creato gli elementi naturali, ed è in grado di dominarli a suo piacimento.

Ma la scena di Gesù che dorme sulla barca mentre il mare è in tempesta ci mostra anche uno spaccato della nostra esistenza: talvolta sembra che la barca della nostra vita stia per affondare, che le difficoltà ci sovrastino, che non sappiamo più davvero cosa fare.

E allora ci viene spontaneo pensare: «Ma il Signore che fine ha fatto? Perché mi ha abbandonato?».

In quei momenti pensiamo a questo episodio. Gesù, sulla barca della nostra vita c’è e anche se talvolta sembra dormire è perché i suoi tempi non sono i nostri, e i suoi progetti su di noi sono diversi dai nostri.

Non perdiamo la speranza nei momenti difficili, e continuiamo a invocare il suo aiuto con fiducia. Prima o poi, quando riterrà che sia il momento giusto, farà cessare le tempeste attorno alla barca della nostra vita.

Essere cristiani significa aderire a uno stile di vita e di pensiero

Essere cristiani significa aderire a uno stile di vita e di pensiero

Non chi dice “Signore, Signore”

Avete inteso che fu detto: «Amerai il tuo prossimo, e odierai il tuo nemico». Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
(Dalla liturgia)

Se essere cristiani non incide sul nostro modo di pensare e di agire, è perfettamente inutile essere cristiani.

Se la nostra fede non fa sì che noi pensiamo ed agiamo in modo diverso da chi cristiano non è, significa che non abbiamo fede.

La fede ci deve spingere ad agire, a fare quello che se non avessimo fede non faremmo. La fede senza le opere è morta, ci dice la Lettera di San Giacomo.

Quando un cristiano, e ancor più chi ha una qualche autorità nella Chiesa, sui grandi temi della vita (si pensi per esempio all’esercizio della sessualità, alla difesa della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, alla difesa della vita dal concepimento alla morte naturale) pensa, parla e agisce abitualmente come chi cristiano non è, dovrebbe seriamente interrogarsi sulla consistenza della propria fede.