Chiesa, annuncio e aggiornamento

Aggiornare non significa abbandonare la tradizione

La priorità massima della Chiesa e di ogni singolo battezzato è l’evangelizzazione. Il messaggio di Gesù è chiaro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

C’è dunque un’appartenenza a Dio con insita la partecipazione alla Comunione con Lui e con i fratelli, in cui anche i laici hanno parte.

Ciò che emerge dunque è la necessità di trovare il modo più incisivo di comunicazione, e questa deve essere una delle preoccupazioni più significative per il cristiano.

Già Papa Paolo VI ne aveva fatto oggetto della sua esortazione “Evangeli Nuntiandi”, e Papa Francesco è rimasto nella scia del suo santo predecessore con l’esortazione “Evangeli Gaudium”. Insieme questi due documenti magisteriali sanciscono la necessità e la gioia della evangelizzazione. L’espressione utilizzata dai due Pontefici è stata «confortante gioia di evangelizzare».

Il bisogno di annunciare e di essere chiari in ciò che si esprime si accompagna ad una difficoltà, che è quella del riferirsi in modo chiaro, intelleggibile e scevro da possibilità di equivoci, in un mondo che presenta diverse sfaccettature culturali e di apprendimento.

Ecco dunque l’obbligatorietà di un aggiornamento dei metodi e delle espressioni.

Spesso questa necessaria accezione viene accolta con diffidenza da chi intende in modo errato il significato di «tradizione».

La Traditio, ovvero la tradizione a cui si deve fare riferimento è esclusivamente quella apostolica. Con la morte dell’ultimo dei testimoni oculari del Cristo, che si ritiene a stretto rigore di logica e di risultanze storico-letterarie l’apostolo Giovanni, la Rivelazione si è chiusa definitivamente.

Sono passati da quel momento ormai più di 1900 anni, e nulla può e deve essere aggiunto. E nulla si è manifestato mai come papabile per un’aggiunta. E mai sarà.

Tutto ciò che è stato creato come riti, liturgia, pia manifestazione, preghiera, e altro, è stato di legittima competenza della Chiesa al fine di svolgere il mandato affidato da Cristo. Tutto quindi deve essere ricondotto ad una modalità che può essere legittimamente modificata. Ciò che invece deve restare immutato è il contenuto della Rivelazione, il quale può essere approfondito al fine di una migliore comprensione, ma assolutamente non cambiato nella sua forma essenziale.

Santa Messa in latino o in lingua locale, modalità di celebrazione, preghiere, e altri aspetti sono solo soggetti all’opportunità di una migliore trasmissione del kerygma, e non devo creare nostalgie di sorta, sane o malate, in quanto sono esclusivamente dei mezzi e degli strumenti.

L’aggiornamento dei mezzi diviene quindi non solo un’opzione, ma addirittura un obbligo se porta ad un miglioramento della comprensione della Parola.

Attaccarsi sentimentalmente a uno strumento può essere compreso sotto l’aspetto umano, ma deve essere un fatto da superare consapevolmente da parte di un cristiano maturo che ha veramente a cuore l’evangelizzazione.

I modo di supplire ai cambiamenti ci sono. Recuperare una spiritualità che si ritiene personalmente indebolita da una variazione di rito o di preghiera, può essere rimediata con la partecipazione sentita e spirituale alle celebrazioni, ma anche da una meditazione attenta di un qualsiasi brano della Bibbia.

Si tratta dunque di operare un salto culturale che rientra pienamente in ciò che Gesù ha affidato alla Chiesa, ovvero una dimensione di corresponsabilità volta al servizio della comunione e della missione.

A questo proposito la Chiesa si è incamminata in un percorso sinodale. Il Sinodo prevede una fase narrativa, con la quale si indaga sulla storia dell’evangelizzazione e dei suoi sistemi, a cui segue una fase sapienziale, per arrivare infine a quella profetica.

Il modello profetico non va inteso con l’accezione della preveggenza, ma su come venne inteso dal popolo ebraico: il profeta è colui che pone i binari per restare sulla strada del Signore, e interviene quando la direzione prende una via estranea al progetto di Dio.

L’obiettivo è quello di fondare una vera vita di comunità dando il giusto primato a Dio.

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