Le chiese antiche di MENDATICA

Le chiese antiche di Mendatica

Un viaggio nella storia

La profondità e la fecondità della fede, la forza spirituale e la determinazione intellettiva della Comunità di Mendatica si leggono nelle opere edificate con fatica e caparbietà, per durare nel tempo e testimoniare l’identità della popolazione. Uomini e donne, giovani e anziani uniti, già agli albori dell’ insediamento nell’alta valle Arroscia, hanno saputo vivere nella quotidianità una religiosità dinamica e collegiale, tradotta nella fratellanza affettuosa e solidale, propria di coloro che si ritengono figli dell’unico Padre Celeste.                 

Insieme poi si sono attivati costantemente per  la serenità sociale, lo sviluppo economico e la crescita culturale dell’intero paese.

Il sorgere  di luoghi di culto, di piloni devozionali, di croci e di iscrizioni votive, in cui ritrovarsi per celebrare la gloria e la lode del Creatore e condividere il Pane di vita Eterna, ha accompagnato e contraddistinto il processo di espansione e di antropizzazione del territorio e la nascita dei centri a cintura del borgo originario.  A tale scopo la gente ha messo a disposizione della collettività i personali talenti e le individuali risorse. Tutti sono stati orientati e accompagnati ad esprimere e testimoniare consapevolmente fede, cristianità e appartenenza alla Chiesa. In questo modo i valligiani sono stati facilitati nella formazione e nell’ educazione integrale e nella condivisione del benessere materiale.

Gli  edifici sacri, ma anche vette alpine, anfratti cupi, orridi imponenti e prati ameni, dai richiami ancestrali e  reconditi, hanno ospitato, riti e celebrazioni in cui la liturgia tradizionale si arricchisce di note spontanee, richiamando comunque evocazioni bibliche.

Delle cappelle e chiese antiche, sia la tradizione orale sia i documenti forniscono notizie scarse e frammentarie, ma comunque certificano un intenso e alacre lavorio per costruire, decorare, ammodernare e custodire i manufatti sacri, segno della propria spiritualità.

L’archivio locale riporta la registrazione notarile, datata 6 dicembre 1389, attestante la consacrazione della parrocchiale, stile tardo rommanico, ai santi martiri Nazario e Celso, risalente al 16 luglio 1380.

Il 4 gennaio 1451, alla presenza del vescovo Cornelio di Chiaromonte e di altre autorità diocesane, la chiesa ampliata e restaurata, per positivo andamento demografico, viene riconsacrata, con l’annesso cimitero e la vicina casa canonica ai martiri, antesignani della fede ligure, provenienti dalla Provenza e diretti a Milano.

Solo nel XVII secolo della parrocchiale di Mendatica e del paese si parla dettagliatamente nel “Sacro e Vago Giardinello”    

Il manoscritto, resoconto della visita pastorale del canonico della cattedrale e rettore del seminario vescovile Gio Ambrogio Paneri, di San Fedele di Albenga, presenta luoghi, paesi, edifici e arredi sacri dei 164 centri urbani e rurali della diocesi ingauna, tra cui Mendatica.

Lo studio, a partire dal1624, è voluto dal vescovo Mons Pier Francesco Costa, di importante famiglia di banchieri romani, con madre Laura Spinola, nobile albenganese, profondo cultore e conoscitore delle arti, specie di carattere religioso.

L’indagine si colloca nell’ambito delle verifiche esplorative sollecitate dalla Controriforma, per scoprire e arginare eventuali movimenti contestativi. E’ caldeggiata dal cardinale Federico Borromeo, che invita ad una “visitatio rerum” e a una “visitatio hominum”.

Il Paneri, con uno stile discorsivo e sciolto, a volte bucolico e informale, elenca puntualmente le caratteristiche oro-idrografiche dei luoghi, la collocazione paesaggistica dei centri, le peculiarità architettoniche, artistiche e gli arredi della parrocchiale e connota gli altri luoghi di culto

Enumera altresì le rendite e il tipo di amministrazione in corso, fa conoscere usi e tradizioni tipiche, dando anche indicazioni sulla catechesi diffusa e sui culti propri praticati.

Il testo offre inoltre la chiave di interpretazione delle relazioni, che legano il tessuto sociale, esprime valutazioni sui costumi morali e culturali  delle  popolazioni avvicinate. 

Descrive anche le eccellenti capacità delle maestranze ponentine, nel modellare e valorizzare creativamente materiali poveri e risorse limitate, nella realizzazione di autentiche e originali opere, che ill tempo ha preservato,  potenziandone il pregio e il valore. 

Infine fa conoscere come lo slancio devozionale e la generosità dei fedeli hanno permesso, anche a comunità rurali e periferiche, di avvalersi dell’opera di valenti artchitetti, pittori e scultori liguri o delle aree confinanti, per edificare, abbellire e arredare non solo le parrocchiali, ma anche oratori, cappelle e ogni sito religioso. 

Di seguito si può leggere la relazione tratta dal “Sacro e Vago Giardinello”  redatta dal Paneri,  durante la visita a Mendatica.

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I Sacramenti come equilibrio tra Parola e Gesto

I Sacramenti come equilibrio tra Parola e Gesto

In un mondo dove regna l’incoerenza, i Sacramenti testimoniano l’incarnazione tra Azione e Parola

Nel tempo di pandemia abbiamo potuto constatare l’importanza del rito. L’uomo, con l’Illuminismo, ha voluto cacciare tutto quanto non si riferisse alla Scienza. Si è però accorto di quanto sia poco prudente affidarsi completamente ad essa e divinizzandola.

Abbiamo dovuto creare miti nuovi, come ad esempio quello dei “balconi”, dei meeting online, e altre forme che ci impedissero di cadere nell’individualismo e nella solitudine. Perché in fondo l’uomo, essere sociale, teme la solitudine più di qualsiasi altra cosa. La paura stessa della morte è testimonianza di ciò, perché per i non credenti è comunque l’espressione massima della solitudine.

Rito cristiano e Sacramento

Questo porta a riflettere sul significato del rito cristiano, che raggiunge la sua espressione più piena nella celebrazione del Sacramento.

Sacrum facere. L’etimologia ci invita a comprendere il significato del Sacramento come il “fare ciò che è sacro”, che comprende l’accezione umana di “fare ciò che è giusto”.

Ecco quindi che in questa spiegazione comprendiamo perché la Storia della Salvezza sia Sacramento, e che il Cristo stesso è il Sacramento del Padre.

Il rito cristiano si differenzia dal mito, perché ha un riferimento storico. La differenza tra storia e mitologia sta proprio in questa differenza: il mito è un racconto poetico e simbolico che non possiede i requisiti di realtà. Non va però dimenticata l’importanza che ricopre e che ha significato per l’evoluzione del pensiero e della cultura. Nel mito troviamo comunque quella verità data dall’interpretazione e dalla percezione dell’uomo circa i grandi problemi esistenziali, come la ricerca dell’origine del mondo, il perché siamo qui e dove andiamo.

Nella Bibbia, infatti, non ci siriferisce all’aspetto scientifico della creazione del mondo, dell’uomo e della donna, ma piuttosto agli argomenti profondi che riguardano il rapporto tra uomo e Dio, e tra uomo e donna.

Il rito cristiano non è mito

Il rito cristiano si basa invece su un fatto storico, ovvero sull'”evento Gesù”, quelò Yoshua ben Yosef che ha realmente calcato la terra della Palestina circa 20 secoli fa.

Nella Chiesa il rito, proprio perché ricalca qualcosa di reale, richiede un equilibrio perfetto tra Parola e Azione. Se la Parola venisse assorbita dall’Azione si cadrebbe nell’esoterismo, nella magia: l’intelligenza non sarebbe coinvolta. Se al contrario l’Azione prevalesse sulla parola perderemmo il senso del concreto, cadremmo nel platonismo, nell’idealismo e addirittura nella superficialità.

Il primo caso corrisponde anche all’impostazione assunta dai fratelli Protestanti, i quali si sbilanciano a favore della Parola, rendendo nullo l’apporto che l’uomo può dare con le sue scelte in funzione del proprio libero arbitrio. Viene sottovalutata la costante ricerca di collaborazione che Dio ha sempre voluto promuovere con l’uomo, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

Il secondo caso comprende invece il crescente secolarismo, che sfocia in un’approssimazione di fondo, nel relativismo (condannato da Ratzinger e Bergoglio) e nella superficialità che va a vanificare il ricordo.

Incarnazione che è armonia

Parola e gesto nel rito, esplicato nel Sacramento, corrispondono tra loro come un’incarnazione. E l’Incarnazione di Cristo sta a sottolineare che non vi furono in Lui parole o gesti vuoti.

Tutto ciò non può che condurci alla relazione conseguente che è quella tra Coerenza e Ragione. Nel sacrum facere troviamo quindi la perfezione che come uomo fu esclusiva di Gesù Cristo: un’armonia e un’equilibrio che la Liturgia dei Sacramenti sperimenta nel rito.

La Chiesa dei SS. Nazario e Celso

La Chiesa dei SS. Nazario e Celso

La storia di Mendatica si intreccia con la sua devozione nella riedificazione del 1760

I contrasti filosofici, politici ed economici del 1700, secolo dallo slancio spirituale e dalla spinta razionalistica, dall’attenzione alla natura e dall’interesse per il progresso tecnologico, hanno coinvolto i centri rurali, fortemente radicati nel substrato culturale di appartenenza, in modo tardivo e stemperato.

In campagna si vive un momento di speranza, per l’aumento della produzione agricola, capace di soddisfare appieno, seppure con fatica, il fabbisogno umano e allevatoriale. Patate,  mais e altre essenze eduli, importate da oltreoceano stanno limitando il ripetersi di carestie, solitamente accompagnate da virulenze perniciose. Migliora la qualità della vita, si registra un consistente incremento demografico, si intensifica l’attività edilizia privata e la realizzazione di opere pubbliche a servizio della collettività.

A Mendatica, paese dalla profonda e viva fede, dalla instancabile e strenua operosità, il 17 agosto 1760, si riunisce il Generale Parlamento della Comunità, su invito del parroco don Giuseppe Maria Gastaldi, per deliberare sull’opportunità di riedificare la chiesa dei SS.  Nazario e Celso, risultando la parrocchiale tardomedievale poco capiente per una popolazione in costante crescita. Il responso pressoché unanime, un solo voto contrario, risulta favorevole alla ricostruzione dell’edificio religioso, anche per adeguarlo alle indicazioni della Controriforma. Dispone altresì il mantenimento della torre campanaria, per la scansione del tempo, il richiamo alle funzioni e per la segnalazione di pericoli e di necessità.

I domini loci assicurano il compenso alle maestraenze qualificate, l’acquisto di chiavi di volta dalle fonderie di Finale Ligure e di quanto occorre acquisire all’esterno. La popolazione mette a disposizione le molteplici competenze e  collabora nel reimpiego del materiale esistente e nel reperimento di quello di estrazione zonale.     

Il progetto è affidato all’architetto Domenico Belmonte di Chiusanico, interprete  collaudato del barocco ponentino, come testimoniato dall’ importante cappella di santa Maria degli Angeli di Sanremo.

La chiesa riedificata nella sede della precedente, vede l’orientamento modificato: il presbiterio non appare più rischiarato dalla luce dell’alba, ma dai raggi del tramonto, per accompagnare la funzione vespertina, come previsto dalla rinnovata liturgia.

L’esterno, dall’andamento curvilineo, mantiene la pietra a vista, senza decori in facciata, forse per trovare armonia e continuità con il campanile romanico, che esprime forza e solidità nelle pietre possenti e squadrate, leggerezza e raffinatezza nelle bifore contornate da archetti pensili. La sommità della torre viene trasformata con l’inserimento di cuspide ottagonale e archetti nel coronato.

L’interno si compone di ampio atrio rettangolare, aula quadrata con angoli arrotondati, spazioso presbiterio con importante altare al centro e semicircolare coro ligneo in fondo.

Superata la balaustra absidale, alla base dei gradini l’aula assembleare si apre a guisa di braccia spalancate per accogliere, proteggere e guidare i fedeli nel cammino di formazioine e crescita spirituale.

E’ articolata da quattro cappelle angolari e due centrali più ampie e profonde , ben incastonate nello spessore delle strutture murarie perimetrali. 

Ogni cappella propone la riflessione su un tema, introdotto da un versetto biblico, illustrato nel quadro centrale e sottolineato dalla scelta delle statue di gesso e dal bassorilievo accanto al tabernacolo, per formare un unicum organico e completo.

La cura di  ogni cappella è generalmente affidata ad una confraternita, da quando il Concilio di Trento ne riconosce l’esclusiva finalità religiosa e ne vieta una sede diversa da quella parrocchiale, controllata e guidata dal  clero.

La prima cappella a destra dell’altare maggiore, dedicata alla SS. Trinità è riservata alla Confraria del Santo Spirito; la centrale della Madonna del Rosario viene curata dalla Confraternita del Rosario, la più numerosa nel secolo scorso; l’altare del Carmelo, con la Vergine e le Sante, è custodita dalla Compagna del Carmine.

Sul lato opposto, vicino al presbiterio, la cappella dei defunti, con la Madonna Coredentrice, curata dalla Compagnia delle anime; al centro l’Immacolata Concezione, della confraternita dell’Annunziata, il cui oratorio precedente era la cappella della Madonna dei Colombi; in ultimo l’altare della Madonna dei Dolori, ai lati del quale si aprono gli accessi all’organo settecentesco e al campanile.

Ogni quadro assembleare narra una relazione di sguardi tra  terra e cielo, per rimarcare la comunione dei santi, propria dei cristiani: i fedeli ritratti rivolgono gli occhi pieni di fede e e di speranza in alto, i loro sguardi intercettati dai santi intermediari vengono indirizzati alla Santissima Trinità o alla Madonna. La lode e la supplica sono catturate dal viso abbassato della Divinità che avvolge l’uomo con un’espressione di tenerezza e misericordia.

Nella volta sovrastante, a corona dell’affresco centrale riproducente il Salvatore circondato dagli angeli, quattro pannelli raffigurano la presentazione del fanciullo Celso a Nazario, lo sbarco e l’opera, il martirio e la glorificazione dei santi patroni “In exultazione iustorum multa gloria”. 

Gli elementi decorativi, avvicinando la cupola,  spingono gli animi all’elevazione, al distacco dalle cose terrene, alla tensione verso il Cielo.

Procedendo dal basso l’analogia diventa simmetria, la statica sobrietà si trasforma in armonioso movimento, la luce permea stucchi, decori e indorature. Le lesene che separano gli altari laterali mostrano i capitelli lucenti di oro zecchino, come gli sfondali.

Lo spazio ancora frammentato viene unificato dalla ricca trabeazione e dallo spazioso cornicione, che lega tutto l’interno e sorregge la cupola dell’aula e la volta a vela del presbiterio.

Al di sopra sembra regnare la perfezione, preparata da Abramo, il più fedele protagonista della volontà del Padre Eterno, ritratto nei due affreschi laterali all’altare maggiore.

La volta bipartita del presbiterio, sullo sfondo del coro, valorizza la tela ad olio dei santi Nazario e Celso e l’epigrafe di intitolazione della chiesa ai due evangelizzatori, con una ghirlanda di fiori su sfondo azzurro-cielo, per completarsi, attraverso il colmo absidale, con la lucente rappresentazione della SS. Trinità, senso e fine ultimo dell’esistere.