Ritrovati nel 1947, risalgono al periodo dal II sec. a.C al 70 d.C.
Il nome di Qumran e spesso ripetuto nella cronaca in ambito di paleografia e studio dell’antichità, specialmente in ambito storico-religioso.
Vediamo però di cosa si parla con esattezza.
Nel 1947 e fino al 1956, nel Wadi-Qumran, furono ritrovati in 11 differenti grotte circa ben 900 documenti che riguardano prevalentemente la Bibbia ebraica.
Il luogo, che si trova sulla riva nord-occidentale del Mar Morto, in Cisgiordania, nelle adiacenze dell’antico insediamento di Khirbet Qumran, deve il suo nome anche alle condizioni ambientali. «Wadi» nelle lingue arabe indica una valle in cui scorreva un antico corso di fiume, che allo stato attuale risulta secco e potrebbe rinvigorirsi solo con abbondanti piogge.
È dunque un territorio desertico e arido, in cui le piogge fanno apparizione solo a lunghissimi intervalli di anni.
Circa 2000 anni fa, la zona era climaticamente meno ostile e fu sede di comunità di esseni, gruppo semita che viveva in modalità monacale. Erano assidui studiosi delle Sacre Scritture.
I manoscritti possono essere classificati in tre grandi categorie:
- Manoscritti biblici (copie dei libri della Bibbia ebraica): circa il 40%.
- Manoscritti pseudo-epigrafici o apocrifi: circa il 30%.
- Manoscritti «settari»: circa il 30%.
I documenti pseudo-epigrafici o classificati come apocrifi, sono quelli che non sono stati introdotti nel canone ebraico, ma alcuni di essi accettati dalla Bibbia dei Settanta o utilizzati dalla tradizione rabbinica (per esempio: Libro del Siracide, Libro di Enoch, Libro dei Giubilei, Libro di Tobia,, salmi esclusi dal canone)
Per «settari» si intendono invece gli scritti relativi a quelle credenze e regole praticate da gruppi minoritari della antica comunità ebraica, come erano gli esseni stessi.
L’importanza di questi documenti è enorme soprattutto perché consentono una maggiore precisione nell’ambito della critica testuale. Se si pensa infatti che i documenti più antichi sui quali si basava la ricerca sulla Bibbia in ebraico erano quelli masoretici, e in particolare il Codice di Leningrado del X secolo, e quelli in greco sono tuttora il Codice Vaticano e il Codice Sinaitico risalenti al IV secolo, si ha la misura di quanto possono essere utili.
I frammenti ritrovati riguardano quasi tutti i libri compresi nel codice masoretico, e contribuiscono quindi a dare una visione di insieme fondamentale.
In alcuni manoscritti si trovano alcuni principi morali e etici che sono stati ripresi dalle lettere paoline e che quindi si armonizzano con la mentalità dell’epoca.
Attraverso differenti sistemi di datazione, tra cui quello paleografico e in alcuni casi anche con radiocarbonio e spettrometria di massa, si è determinata l’epoca di composizione tra il 250 a.C. e il 68/70 d.C., quest’ultima fu la data della distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani. I periodi paleografici coperti sono dunque l’Arcaico, l’Asmoneo e l’Erodiano.
I documenti, che di fatto si propongono come una ricca miniera di informazioni, sono ancora oggetto di studio e del vaglio degli esperti.
Lo trovo molto importante oltre a dare conferma dell’ esistenza della Bibbia già dai tempi antichi e cioè la Sacra Scrittura non è una invenzione da parte di uomini ma ispirata dall’ alto è come tale custodita e fatta oggetto di studio per conoscerela e viverla meglio. Da la possibilità di fare confronto tra la Bibbia ebraica e quella così detta dei XLL che ha la stressa radice.
È da l’ Opportunità di sapere dell’ esistenza dei libri apocrifi ( Enoch Giubeley ect)
Ma anche degli altri libri canonici per cattolica ma non per gli ebrei.
Lo trovo fondamentale perché permette di approfondire la conoscenza della Sacra Scrittura.