La parabola dei semi è fondamento per comprendere il messaggio di Gesù

La parabola dei semi è fondamento per comprendere il messaggio di Gesù

Accogliere la Parola

« … Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
(Dalla liturgia)

Perché questo brano ci dice che se non capiamo questa parabola non capiremo neppure le altre? Perché questa parabola ci insegna a rapportarci in modo corretto, e quindi fruttuoso, alla parola di Dio, e all’insegnamento autentico della Chiesa che la interpreta in modo autorevole.

Se noi non sappiamo trarre frutto da quello che Dio ci insegna, cioè se non mettiamo in pratica la sua parola, tutto l’insegnamento del vangelo, tutte le pratiche religiose diventano una cosa inutile, un inutile parlare e un vuoto ritualismo che non aiuta la nostra vita e non ci giova a salvezza.

Dio ci ha dato la sua parola perché noi la prendiamo sul serio per quello che è: parola di Dio, che genera in noi la vita, che porta frutti di bene per noi e per gli altri se ci impegniamo, con il suo aiuto, di metterla in pratica.

«L’Agnello di Dio … era prima di me»

«L'Agnello di Dio ... era prima di me»

In queste parole sono riassunte pre-esistenza, divinità, incarnazione, morte e resurrezione

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”.
(Dalla liturgia)

L’espressione usata dal Battista, «agnello di Dio», è un espressione molto famosa. Ma qual è il suo vero significato? L’agnello era la vittima sacrificale, l’animale usato per i sacrifici di espiazione. È l’innocente che paga per i peccati di altri.

Le parole del Battista ci portano sul Calvario: Gesù è l’Innocente che, senza peccati, paga per le colpe di noi tutti. Siamo nel tempo di Natale, e questa immagine ci riporta al Venerdì Santo.

Che senso ha tutto questo? In realtà il Natale rimanda alla Pasqua, le fasce in cui Maria ha avvolto Gesù richiamano il gesto con cui il corpo morto di Gesù deposto dalla croce è stato avvolto nella Sindone, Maria che depone il Figlio nella mangiatoia richiama la deposizione nella tomba. Nella Pasqua trova compimento ciò che nel Natale si è cominciato.

La credibilità e la concretezza della nostra fede meritano coerenza

La credibilità e la concretezza della nostra fede meritano coerenza

Le Memorie di Incarnazione (Natale) e Resurrezione (Pasqua) vanno vissute nel loro significato

«Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette
».
(Dalla liturgia)

La solennità del Natale è seguita, liturgicamente, da altre feste: Santo Stefano il 26 dicembre, San Giovanni Evangelista oggi, e domani i Santi Innocenti, i bambini trucidati da Erode nel tentativo di uccidere Gesù. Queste feste sono legate in modo particolare all’Incarnazione del Signore.
Il Natale, sembra quasi banale ricordarlo, fa memoria della nascita nella carne della seconda persona della Santissima Trinità. La divina persona del Figlio, generato ma non creato prima di tutti i secoli della stessa sostanza del Padre, ad un certo punto della storia ha assunto, ha preso sopra di sé la natura umana creata. Per intervento prodigioso dello Spirito Santo la persona del Figlio ha preso carne nel grembo della vergine Maria e si è fatto uomo. Il Figlio, coeterno al Padre e allo Spirito Santo, con i quali condivide la natura divina, ha assunto la nostra natura umana pur rimanendo Dio. E perché lo ha fatto? Lo ha fatto per riportare l’uomo alla comunione con Dio, comunione che aveva perso con il peccato originale e con i peccati particolari dei singoli uomini. Dio si è fatto come noi per farci come Lui, dice un canto liturgico.

Queste verità, così semplici e elementari, un tempo patrimonio acquisito dalla nostra gente, oggi rischiano di essere dimenticate, o quanto meno messe in secondo piano da visioni del Natale molto riduttive: il Natale sarebbe, tra le altre cose, la festa dei bambini, della famiglia, della solidarietà, e chi più ne ha più ne metta. Tutte cose belle e positive, intendiamoci, ma queste cose mettono in secondo piano la verità del Natale: Dio, rimanendo Dio, ha preso su di Sé la nostra natura umana per riparare i nostri peccati e riportarci, se noi lo vogliamo, alla dignità perduta e ridarci la gioia della comunione con Lui, riportarci alla pienezza della vita su questa terra e riaprirci le porte della vita eterna. Le feste che si celebrano dopo il Natale servono a ricordarci questo. Cosa dice di questo mistero la festa di San Giovanni, che celebriamo oggi? Anzitutto ci dice che quello che viene celebrato nel Natale è vero: la prima lettura ci dice che gli Apostoli ci hanno tramandato quello che hanno visto, toccato, udito: ciò di cui hanno fatto reale esperienza. Non sono invenzioni nate da desideri, fantasie, emozioni, esperienze interiori: la nostra fede si basa su fatti realmente accaduti. Anche il brano di Vangelo insiste su questo punto: la testimonianza dell’Apostolo Giovanni è vera. «e vide e credette»: ha creduto perché ha visto. Ha visto davvero, con i suoi occhi, non ha creduto in base a pensieri, riflessioni, emozioni interiori. Noi non crediamo a fantasie, ma a fatti realmente accaduti. Se così non fosse la fede cristiana sarebbe una sciocchezza. Niente è più importante di questo: dobbiamo credere che quello che la Chiesa annuncia è vero, storicamente vero, altrimenti perché credere? Giovanni lo ripete continuamente. Si ricordi quest’altro passo: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35). La risposta dell’uomo alla verità che gli viene annunciata è la fede.
Crediamo dunque a cose vere, realmente accadute, viste, udite, sperimentate da uomini come noi. E questa fede è necessaria per salvarci. Chi crederà sarà salvo, ci dice la Lettera di San Paolo ai Romani. Ma allora è solo una questione intellettuale? Se credo che certe cose sono vere sono a posto? No. La Lettera di San Giacomo dice che la fede senza le opere è morta. Se credo che quello che il Vangelo mi racconta è vero, la mia vita non può rimanere la stessa, non può continuare a trascorrere come se Dio non esistesse o come se non volesse niente dalla mia vita. La fede è un’esperienza di fiducia in una verità che ci viene detta in modo credibile, e questa verità incide sulle scelte concrete della mia vita. Se crediamo che tutto questo sia vero e camminiamo nelle tenebre, accettiamo cioè di vivere nel peccato e lontani di Dio, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità.
Questa verità, il Dio che si fa uomo, non ci viene annunciata per rovinarci la vita, per opprimere la nostra esistenza con una serie di comandamenti pesanti e di astruse pratiche religiose. Ci viene annunciata perché la nostra vita possa raggiungere lo scopo per cui è stata creata, quello cioè di vivere felici in comunione con Dio già su questa terra in cui però non mancano la sofferenza, il dolore e la morte, e in modo pieno e definitivo in paradiso. In una parola ci viene annunciata perché la nostra gioia sia piena.

Lasciare agire il Signore nella nostra vita

Lasciare agire il Signore nella nostra vita

L’affidamento a Gesù dona serenità e ci avvicina alla comprensione della gioia eterna

«Che cosa è più facile: dire “Ti sono perdonati i tuoi peccati”, oppure dire “Àlzati e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua».
(Dalla liturgia)

Se chiedessimo ad un certo numero di persone quale è il beneficio maggiore ricevuto dal paralitico del brano di Vangelo sopra riportato, possiamo essere sicuri che quasi tutti direbbero che è stata la guarigione fisica. Dalla lettura del brano però Gesù sembra non pensarla così. La prima cosa che fa, quando vede il paralitico, è dire: «ti sono rimessi i tuoi peccati».

Gesù ha operato la guarigione fisica solo dopo, e specifica che l’ha fatto per dimostrare che Egli ha il potere di rimettere i peccati. Non è insomma la guarigione fisica il primo pensiero di Gesù. Egli ritiene la liberazione del peccato la cosa più importante.

La paralisi del corpo impedisce il normale svolgersi della vita, interrompe o indebolisce i rapporti tra gli arti e il cervello, ma il peccato è qualcosa di peggio, che paralizza la vita dello spirito, che interrompe o indebolisce il rapporto con Dio. La paralisi del corpo esclude da una completa fruizione della vita di questo mondo, il peccato può escluderci dalla vita eterna. Il Signore opera raramente una guarigione fisica, succede ma è raro. Dio invece ci guarisce dal peccato ogni volta che, pentiti e disposti a cambiare, glielo chiediamo. Anzi, ha istituito un rimedio semplice, facilmente fruibile per guarirci da quella malattia dell’anima che è il peccato: il sacramento della confessione. E per questo è opportuno farne uso, farne un uso serio e frequente.

Il Signore vuole risanarci: lasciamolo agire nella nostra vita, permettiamogli di togliere dalla nostra vita il peccato, che è ciò che ci impedisce di vivere in pienezza, che è ciò che ci impedisce, pur tra i dolori e i limiti di questa vita, di essere pienamente felici.

Cos’è la Fede? È seguire colui di cui ci fidiamo

Cos'è la Fede? È seguire colui di cui ci fidiamo

La misura della nostra fede determinerà il nostro futuro

«Avvenga per voi secondo la vostra fede». E si aprirono loro gli occhi.
Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne diffusero la notizia in tutta quella regione.

(Dalla liturgia).

«Avvenga per voi secondo la vostra fede». È la fede che attira la potenza di Dio. Come il magnete attira il ferro, come alcuni corpi si attirano tra loro, allo stesso modo la nostra fede attira la potenza di Dio: così scrivevano i Padri della Chiesa.

Se vogliamo che Dio agisca nella nostra vita, esercitando la sua potenza benefica su di noi, è necessaria la nostra fede. Cioè anzitutto credere che Dio abbia il potere di fare quello che gli chiediamo.

Ma la fede non è solo una questione che riguarda l’intelletto: credere significa amare colui di cui ci fidiamo. Se amiamo Dio e ci fidiamo di Lui, crediamo anche che le parole che ci rivolge siano vere.

Credere significa dunque fidarci di Dio, credere che le sue parole siano vere, e adeguare la nostra vita alla verità che professiamo. Se ciò in cui crediamo non incide nella nostra vita e nelle nostre scelte concrete, la nostra fede è vuota, inutile, non ci porta alcun beneficio in questa vita e non ci giova per la salvezza eterna.

Costruirsi un Dio secondo le proprie idee

Costruirsi un Dio secondo le proprie idee

Il monito di Gesù

«Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
(Dalla liturgia).

Gesù è triste, piange lacrime vere (il verbo originale greco indica un pianto vero, che si vede e si sente). È triste perché Gerusalemme lo ha rifiutato, ha rifiutato Dio, ha perso la grande occasione, quell’occasione che nella vita occorre saper afferrare. Questa grande occasione è detta «la via della pace». Questa espressione nella Bibbia ha un significato più ampio di quello che intendiamo noi, indica tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per stare bene, per avere nel cuore la pace e la gioia.

Perché gli Ebrei, nella loro maggioranza, hanno rifiutato Gesù? Perché non era quello che si aspettavano: infatti Signore è venuto nell’umiltà, nella normalità di una persona di umili origini. Gli Ebrei invece si aspettavano una venuta sfolgorante. E visto che il Signore non corrispondeva alle loro idee, non lo hanno accolto.

Gesù ha fatto miracoli, ma non può nulla contro coloro che hanno deciso di rifiutarlo. E piange, perché sa che rifiutando Dio, gli abitanti di Gerusalemme stanno accumulando castighi sopra la loro testa.

Questo messaggio vale anche per noi, che spesso rifiutiamo il Signore, rifiutiamo il suo messaggio di salvezza perché le cose non vanno come vorremmo noi. E questo può portarci alla rovina, in questa vita e nell’altra. Accogliamo il Signore mentre si fa trovare, perché non è detto che torni a visitarci.

L’insistenza dei figli e la pazienza del Padre

L'insistenza dei figli e la pazienza del Padre

Dio gradisce anche l’insistenza nel chiedere, perché è testimonianza d’amore

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: «Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».
(Dalla liturgia)

Questo brano di vangelo ci mette davanti ad una realtà che viviamo ogni giorno, e che sembra contraddire l’esistenza stessa di Dio. Se Dio è giusto, perché permette che i buoni (la vedova) subiscano ingiustizie da parte di persone disoneste (il giudice)? Se Dio è buono, perché permette che il male turbi la vita degli innocenti? Perché permette il male, l’ingiustizia, la malattia, la sofferenza, la morte? Perché sembra tardare a fare giustizia?

Il brano ci esorta a non perdere la speranza, a continuare a chiedere, fiduciosi di essere ascoltati («farà loro giustizia prontamente»). La conclusione del brano sposta l’attenzione su un altro fatto: la fede. «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Non scoraggiatevi – sembra dire il brano di oggi – se nel mondo c’è il male e c’è l’ingiustizia: Dio porrà rimedio a tutto questo, in questo mondo o nell’altro. Preoccupatevi invece di custodire e rafforzare la vostra fede. È la fede retta e operosa infatti che ci permette di vivere bene in questa vita, anche facendo i conti con il male e con l’ingiustizia, e ci permetterà di essere accolti nella vita eterna, dove il male e l’ingiustizia non troveranno posto.

Fiducia e riconoscenza: le fasi dell’amore per Dio

Fiducia e riconoscenza: le fasi dell'amore per Dio

A ringraziare fu il solo Samaritano

E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?»
(Dalla liturgia).

I lebbrosi iniziano a guarire mentre camminano. Gesù ha comandato loro di andare dai sacerdoti quando ancora i segni della lebbra erano sul loro corpo. I lebbrosi hanno obbedito alla parola di Gesù senza avere prove.

È questa fede che li ha guariti. La fiducia che quello che il Signore dice è buono per la nostra vita ci spinge ad agire anche quando sembra che le parole del Signore non abbiano riscontro nei fatti.

È questa fiducia però che permette a Dio di agire e di portare frutti di bene nella nostra vita. Il Signore vuole la nostra fede per agire nella nostra vita, non perché ne abbia bisogno (è onnipotente!) ma perché ci ama, ci stima più di quanto spesso noi stimiamo noi stessi, e non vuole agire senza il nostro consenso e senza la nostra collaborazione.

Il «culto del Tempio» e il «culto dell’Amore di Dio»

Il «culto del Tempio» e il «culto dell'Amore di Dio»

Ciò che il Signore ci chiede …

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
(Dalla liturgia).

Celebriamo oggi la festa che ricorda la dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa cattedrale di Roma, considerata madre e capo delle chiese di tutto il mondo.

Il brano di vangelo ci riporta l’episodio della cacciata dei mercanti del tempio. Che senso ha questo episodio? Cosa facevano di male queste persone? Vendevano ai pellegrini gli animali necessari per i sacrifici e cambiavano le monete romane (considerate impure, perché portavano l’effige dell’Imperatore) con le monete degli Ebrei. Cose tutte prescritte dalla legge di Mosè. E allora? Dove sta il male? Che senso ha il gesto di Gesù?

Certo, come sempre quando ci sono di mezzo i soldi si verificavano ingiustizie, i cambiavalute e i venditori di animali se ne approfittavano (ricordiamo che il tempio di Gerusalemme, ai tempi di Gesù, era la maggiore banca del Medio Oriente), c’era un cospicuo giro di soldi attorno ad esso, a tutto vantaggio della famiglia dei sommi sacerdoti. Ma non è certo l’unica volta che Gesù si è trovato di fronte a un’ingiustizia, e non lo abbiamo mai visto passare alle vie di fatto! E allora? Cosa significa tutto questo?

Con la cacciata dei mercanti Gesù non si limita a deplorare le ingiustizie commesse da queste persone, ma mostra che il culto del tempio è oramai finito per sempre. Con questo gesto Gesù inaugura un nuovo modo di rapportarsi con Dio. Al Signore non interessano i sacrifici di animali, Egli vuole il nostro amore, il nostro cuore.

Se facciamo un’offerta, se facciamo un sacrificio, non lo facciamo per comprare la benevolenza di Dio, quasi a metterlo tranquillo per continuare a vivere come vogliamo, ma lo facciamo per esprimere amore e riconoscenza. E come possiamo allora rendere concreto il nostro amore verso di Lui? Ce lo dice il vangelo di Giovanni: «chi mi ama osserva i miei comandamenti» (Gv 14,24).

Il modo di amare Dio, di essergli graditi, è riconoscerlo Signore della nostra vita, è essere docili alla sua volontà. Dio vuole il nostro cuore, non le nostre cose. Queste sono già sue.

Il Regno di Dio: l’apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Il Regno di Dio: l'apparentemente piccolo che diventa il «tutto»

Nella spiegazione di Gesù c’è la potenza di Dio

«A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami».
E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

(Dalla liturgia)

Le due brevi parabole (quella del granello di senape e quella del lievito e della pasta) hanno in comune la piccolezza degli inizi e l’inaspettata grandezza della conclusione. È la dinamica del regno di Dio: ciò che riguarda Dio ha una vita nascosta in sé.

Tante volte quando si fa qualcosa per il Signore, per la Chiesa, sembra di fare qualcosa di inutile, qualcosa di veramente insignificante. Il Signore ci raccomanda di non scoraggiarci. Il regno di Dio ha una vitalità propria, è la forza di Dio che fa crescere.

Queste parabole ci invitano a non scoraggiarci, a non demordere quando vediamo risultati non all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative, e a considerare quanto sia importante ogni occasione, ogni incontro.

Una situazione apparentemente insignificante non deve diventare occasione di disimpegno o di rifiuto, perché non sappiamo quali frutti di grazia il Signore saprà trarre da essa.