13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

13 dicembre, Santa Lucia: la santa della luce

Martire del IV secolo

Santa Lucia è una tra le sante più amate dalla gente e maggiormente ricordate dalla tradizione popolare. Non tutti però conosco la vita di questa giovinetta che fu martirizzata nel IV secolo.

Nacque a Siracusa nel 283 e fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano il 13 dicembre del 303. Il richiamo del proprio nome (Lucia in greco, lux in latino) la accostano alla “vita”, di cui diviene la protettrice.

Lucia proveniva da famiglia cristiana, e rimase orfana di padre all’età di 5 anni.

Promessa sposa a un giovane della sua città, Lucia si reca in pellegrinaggio presso la tomba di S.Agata a Catania, per invocare la guarigione della madre Eutychia, affetta da emorragie. Tornata a Siracusa e ottenuta la grazia, Lucia decide di rinunciare al matrimonio e dona i suoi beni ai poveri. Il fidanzato per vendetta la denuncia come cristiana al governatore Pascasio.

Interrogata, minacciata e lusingata in mille modi, Lucia non abiura la fede cristiana e viene condannata a morte. Fu sepolta nelle catacombe di Siracusa che portano il suo nome. Le sue spoglie riposano ora nella Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro in Venezia.

Santa Lucia viene spesso invocata anche a protezione e guarigione dei problemi legati alla vista. viene venerata dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa.

Non trova riscontri storici la leggenda che narra che le furono cavati gli occhi, o che ella stessa li avrebbe cavati. Figura invece una testimonianza scritta di un evento miracoloso che pose fine alla carestia in Sicilia nel 1646. Fu vista volteggiare una quaglia all’interno del Duomo di Siracusa, e quando questa si poggiò sul soglio episcopale si udì una voce che annunciava l’ingresso in porto di una nave carica di frumento. La gente vide in quell’evento la risposta di Santa Lucia alle numerose preghiere che le erano state rivolte.

Il popolo, affamato corse al porto e per la gran fame consumò il frumento senza macinarlo, ma solo bollito.

Dante Alighieri affermò nella sua nota opera Convivio di aver sofferto in gioventù di problemi agli occhi dovuti alle prolungate letture, e di essere stato guarito per intercessione di Santa Lucia. Nella Divina Commedia, il sommo poeta, nel riferirsi alla santa all’interno del Paradiso, fa trasparire chiaramente la capacità di Lucia di coniugare in sé contemporaneamente qualità celesti e umane, e la pone a simbolo della grazia illuminante.

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Vangelo di domenica 13 dicembre 2020

Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

10 dicembre: Beata Maria Vergine di Loreto

La ricorrenza che celebra la casa in cui l’Angelo diede l’Annuncio a Maria.

Tra i tanti santuari mariani quello di Loreto costituisce un unicum di notevole valore devozionale.

La tradizione narra che per l’indegnità sopravvenuta nei luoghi di origine, la casa in cui Maria ricevette a Nazareth l’annuncio da parte dell’Angelo Gabriele, scomparve improvvisamente lasciando solo la traccia delle proprie fondamenta.

Nel 1291 apparve miracolosamente su una pubblica strada di Loreto. L’evento creò molta suggestione, e prima di accettarne il significato il Vescovo di Loreto volle indagare sull’accaduto. Effettuate le misurazioni si constatò che l’edificio apparso a Loreto era esattamente sovrapponibile alle fondamenta restate a Nazareth.

Nel 1310, Papa Clemente V, confortato dal parere dei tecnici e dei costruttori dell’epoca, ne sancì l’autenticità con una bolla papale.

La casa

La casa è molto semplice e consta di sole tre pareti, a significare l’apertura al mondo. Recenti studi hanno stabilito che le pietre della costruzione sono state lavorate secondo l’uso dei Natabei, diffuso nella Galilea ai tempi di Gesù. I numerosi graffiti che si presentano sulle pareti sono stati parimenti oggetto di studio da parte degli esperti. Ne è risultato che sono di chiara origine giudeo-cristiana e la malta di costruzione impiegata risulterebbe estranea agli usi edilizi marchigiani.

La casa attualmente conservata a Loreto ha, come abbiamo detto, tre pareti. Costituisce la sezione che si appoggiava sulla parte scavata nella roccia della casa originaria, che è venerata nella Basilica dell’Annunciazione di Nazareth.

Miracolo o trasporto?

Ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile il trasporto di una reliquia di questo tipo. La spiegazione che siano stati degli Angeli deriva anche dalla constatazione che fisicamente la casa appare ad occhio nudo come se NON FOSSE STATA RICOSTRUITA.

Una cronaca del 1465 redatta dal Teramano riferisce: “…dopo che quel popolo di Galilea e di Nazareth abbandonò la fede in Cristo e accettò la fede di Maometto, allora gli Angeli levarono dal suo posto la predetta chiesa e la trasportarono nella Schiavonia. Ma lì non fu affatto onorata come si conveniva alla Vergine… Perciò da quel luogo la tolsero nuovamente gli Angeli e la portarono attraverso il mare, nel territorio di Recanati”.

È stata avanzata un’ipotesi, avvalorata dall’antico codice Chartularium culisanense: gli angeli della tradizione a cui è attribuita la traslazione, sarebbero i componenti della nobile famiglia bizantina dell’Epiro degli Angeli. Nel XIII secolo furono proprio loro, infatti, a mettere in salvo via mare dalla furia saracena il venerato sacello. L’unica eccezione a questa teoria resta il perfetto stato di assemblaggio e di conservazione delle pietre, che ha mantenuto viva un’interpretazione del trasporto aperta al soprannaturale.

Insieme alla Beata Maria Vergine di Loreto, oggi, 10 dicembre, si commemorano anche San Mauro Martire e San Gregorio III Papa.

Il presepe parrocchiale

La comunità di Mendatica nella visione teologica cristocentrica

La comunità di Mendatica nella visione teologica cristocentrica

Si può chiamare “presepe” o “presepio”, entrambi i termini sono corretti. È una tradizione tardo medievale nata in Italia.

Il nome deriva dal latino “praesepe” e indicava dapprima la sola mangiatoia, ma ha finito poi per indicare tutta la rappresentazione scenica della Natività di Nostro Signore.

Ci si sbizzarrisce spesso per dare al presepe forme sempre più sofisticate. Ciò indica la devozione che si nutre per l’evento principe di tutta la storia dell’umanità: la nascita del Salvatore.

Gli elementi che compongono il presepe sono tratti dai 180 versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, detti “dell’infanzia” proprio perché trattano la nascita di Gesù. Altri componenti sono liberamente assunti dai vangeli apocrifi, soprattutto dal Protovangelo di Giacomo.

Il contesto storico è quello tra l’anno 7 e l’anno 4 a.C. Numerosi riscontri storici, tra cui lo svolgimento del noto censimento, il passaggio della cometa o la morte di Erode, collocano la nascita di Yoshua ben Yosef (Gesù), proprio in quel breve lasso temporale.

La data del Natale è stata fissata probabilmente nel 336, e si è sempre pensato che fosse convenzionale per sostituirla alla festività del Sol Invictus che veniva celebrato il 25 dicembre in pieni Saturnalia.

Rcentemente numerosi storici si sono concentrati sui dati storiografici raccolti circa la visita della Vergine Maria presso Santa Elisabetta. Da alcuni incroci si ricaverebbe che tale incontro fosse avvenuto proprio nel periodo che oggi definiamo come la fine del mese di marzo, proprio 9 mesi prima del 25 dicembre. Anche qui ci sarebbe una coincidenza tra la data tradizionalmente assunta con l’Annunciazione (25 marzo).

Come ogni anno la nostra parrocchia ha voluto comporre questo simbolo, cercando di interpretare i tempi, dimostrando l’attenzione ai temi umani e spirituali che hanno caratterizzato l’anno che sta per terminare, ma anche l’attesa speranzosa del Bambino Divino.

Il 2020 è stato un anno che ha colpito la comunità di Mendatica sotto vari aspetti. Oltre alla diffusione del covid, il paese è stato martoriato da un’ennesima alluvione che pareva voler mettere in ginocchio la tempra degli abitanti.

Tutto ciò non poteva mancare nell’omaggio di speranza che la nostra Parrocchia vuole vivere nel periodo dell’Avvento.

Quest’anno la grotta che ospiterà il Bambino, è stata posta al centro. Papa Francesco insiste in modo appassionato sulla visione cristocentrica e sugli aspetti teologici di questo atteggiamento. L’invito e il messaggio sono quelli di porre Gesù al centro di tutto.

A fare da contorno alla figura di Gesù Bambino, sono state posti alcuni segni che simboleggiano il paese di Mendatica: le cascatelle delle Canalette, gli amati piloni, la fontanella che resta viva col suo umile getto d’acqua, e infine il mulino, quest’anno fermo e simbolo della ferita che il 2020 ha inferto alla comunità.

Tutto ciò racchiuso in un segno di offerta che la nostra parrocchia vuole offrire al Signore che nasce.

Buon Natale a tutti, nella speranza di un anno che medichi le ferite del cuore e dell’anima e ci trovi pronti e uniti nell’accogliere Cristo che nasce per noi.

Vangelo della Festività dell’Immacolata Concezione

Vangelo della Festività dell'Immacolata Concezione

Lc 1, 26-38

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Sant’Ambrogio di Milano

Sant'Ambrogio di Milano

La vita del  funzionario, vescovo, teologo e scrittore Aurelio Ambrogio

Aurelio Ambrogio, meglio noto come Sant’Ambrogio di Milano, santo e Padre della Chiesa, nacque a Augusta Treverorum, città romana nella regione della Mosella, ovvero nella Germania sud-occidentale, nei pressi di Lussemburgo, in una data incerta tra il 339 e il 340, quando quella zona era definita Gallia belgica.

Provenne da una famiglia autorevole appartenente alla gens Aurelia. Il padre era infatti prefetto del pretorio delle Gallie. La madre, anch’ella di nobili origini, discendeva dai Simmaci, imparentata in via stretta con l’oratore Quinto Aurelio Simmaco. La sua famiglia era da tempo convertita al Cristianesimo: la sorella Marcellina e il fratello Satiro sono pure venerati come santi.

La sua vita da funzionario

Ambrogio fu avviato agli studi per abbracciare come il padre la carriera amministrativa. Frequentò gli studi del Trivium e del Quadrivium, e nonostante la morte prematura del padre, partecipò attivamente alla vita politica di Roma.

Esercitò per cinque anni l’avvocatura nell’attuale Serbia, e precisamente nella città di Sremska Mitrovica, dopodiché fu nominato governatore dell’Italia Annonaria per la regione Aemilia et Liguria con capitale Milano. In quel ruolo accrebbe notevolmente il suo prestigio per le doti diplomatiche dimostrate anche nell’ambito della disputa tra ariani e cattolici, soddisfacendo entrambe le fazioni.

Alla morte del Vescovo di Milano Aussenzio, l’equilibrio tra le due parti fu in pericolo. Ambrogio si recò in chiesa per redimere alcune animate discussioni. Il suo biografo Paolino scrisse che dal pubblico si levò la voce di un bimbo che urlò “Ambrogio Vescovo!”. A quella voce si unì tutto il popolo. Milano voleva infatti un vescovo cattolico, ma Ambrogio rifiutò. Come avveniva spesso in quel periodo, Ambrogio non aveva ancora ricevuto il Battesimo. Addusse anche il motivo di non aver mai frequentato studi di Teologia.

Dietro alle insistenti richieste Ambrogio cercò anche di macchiare la propria fama invitando delle prostitute a casa sua e ordinando la tortura ad alcuni condannati. Nonostante tutto ciò, il popolo non recedette, e per scongiurare l’ordinazione Ambrogio fuggì.

Il popolo si rivolse quindi direttamente all’Imperatore Flavio Valentiniano, anch’egli estimatore di Ambrogio. Dietro ordine dell’Imperatore, Ambrogio accettò ritenendo che ciò fosse anche il volere di Dio. Fu battezzato al Battistero di Santo Stefano alle Fonti e il 7 dicembre 374 fu ordinato Vescovo di Milano.

La sua opera da Vescovo

Uno dei suoi primi atti fu quello di donare tutti i suoi beni ai bisognosi, fatta eccezione per quanto avesse potuto servire al sostentamento della sorella Marcellina. Adottò uno stile di vita ascetico.

La sua coerenza e la sua fede furono determinanti nel 398 per la conversione di Sant’Agostino. Alle sue ispirazioni si devono i ritrovamenti dei corpi dei Santi martiri Gervasio e Protasio nel 386, che fu determinante nella disputa con gli ariani, e dei corpi dei santi patroni della nostra Parrocchia, Nazario e Celso, nel 395.

Oltre alla lotta contro l’Arianesimo, Ambrogio fu assertore del primato d’onore del Vescovo di Roma, opponendosi ad altri vescovi, come ad esempio Palladio, che lo ritenevano pari a loro.

Avversò fieramente il paganesimo ufficiale della corte romana, che persistette tra l’editto di Milano fino all’editto di Tessalonica. Arrivò anche a scontrarsi col cugino Quinto Aurelio Simmaco per opporsi al ripristino della statua e dell’altare dedicato alla dea Vittoria nella Curia Romana.

Fu precettore dell’Imperatore Graziano, al quale chiese di indire il Concilio di Costantinopoli del 381. Si oppose successivamente all’Imperatore Teodosio reo di aver ordinato un massacro, e arrivò ad escluderlo dai sacramenti. Teodosio fece ammenda e fu riammesso nella chiesa il 25 dicembre del 388.

Le sue posizioni teologiche furono convintamente orientate verso l’ortodossia della fede. Intervenne praticamente in ogni disputa teologica a difesa delle Scritture.

Ambrogio rese l’anima a Dio il 4 aprile del 397, e fu sepolto nella basilica che porta il suo nome accanto ai corpi di Gervasio e Protasio.

Papa Francesco: “Presepe e albero come segni per aprirci a Gesù”

Papa Francesco: "Presepe e albero come segni per aprirci a Gesù"

Il Pontefice all’Angelus invita alla gioia e alla speranza

Non c’è pandemia che possa separarci da Dio. È ciò che ha detto Papa Francesco all’Angelus di questa mattina in Piazza S.Pietro.

E ancora: “Il cristiano non è un fachiro”, riferendosi al tipo di “sacrificio” o di “penitenza” a cui è chiamato il fedele.

Papa Francesco ha preso poi lo spunto dell’albero natalizio innalzato in piazza, ancora ovviamente spoglio, e al presepe in allestimento, per sottolineare che essi sono due simboli di speranza che permettono di aprirci a Gesù. “Non dobbiamo però fermarci ai simboli” ha aggiunto il Santo Padre.

Francesco ha voluto ancora una volta prendere spunto dall’umano per indirizzarci al divino in un messaggio che inserisce in questo momento di sofferenza l’importanza di affidarci alla misericordia di Dio, che costituisce motivo di gioia e di speranza.

Il Vangelo di domenica 6 dicembre 2020

Ascensione di Gesù

Mc 1,1-8

Dal Vangelo secondo Marco

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Parola del Signore

I Santi Nazario e Celso, nostri patroni

Nazario e Celso

Come post inaugurale nel blog del neo-nato sito della Parrocchia, ci sembra giusto dedicare una particolare attenzione ai Santi titolari della nostra chiesa parrocchiale.

Nazario e Celso vissero nel I secolo e furono martirizzati. Figurano nel Martirologio romano con l’inscrizione: “A Milano, santi Nazario e Celso, martiri, i cui corpi furono rinvenuti da sant’Ambrogio”.

Il biografo di Sant’Ambrogio, Paolino, riferisce infatti che il Vescovo di Milano (340-397), fu guidato per ispirazione verso un orto fuori città, in cui erano sepolti due martiri. Erano proprio Nazario e Celso.

Il corpo di Nazario era intatto e fu trasportato in una chiesa davanti a Porta Romana, dove fu edificata a suo nome una basilica. Sulle ossa di Celso sorse un’altra basilica.

L’emblema associato ai due martiri cristiani è la palma.

Il nome Nazario ha origine ebraica e significa “consacrato a Dio”. Celso invece vuol dire “elevato”, “eccelso”, alto.

Nazario era un cittadino romano. La madre era una donna molto pia, che si chiamava perpetua ed era nel numero dei seguaci di San Pietro. Nazario fu infatti battezzato da Lino, quando non era ancora Papa.

In seguito alle persecuzioni di Nerone, Nazario abbandonò Roma per dedicarsi alla predicazione. Si diresse verso nord e si recò in Lombardia. Informato della loro presenza il Prefetto lo fece arrestare e condannò Nazario alla frusta e all’esilio. Fu allora che il predicatore si diresse verso la Gallia.

Incontrata una ricca matrona nell’attuale Francia gli fu presentato il figlio di lei, un giovinetto di nove anni che la madre intendeva avviare alla religione cristiana. Nazario battezzò il ragazzo col nome di Celso e lo accolse per proseguire insieme a lui la sua opera missionaria.

Furono incatenati a Treviri, ma poi rilasciati per l’intervento della moglie del Prefetto romano del luogo, la quale fu turbata da un sogno.

L’evangelizzazione proposta dai due santi fu molto proficua, nonostante i continui pericoli e l’attiva persecuzione attuata dall’impero di Nerone provvidero a battezzare numerosissimi catecumeni. Nuovamente catturati furono tradotti a Roma per ordine di Nerone. Nella città eterna l’imperatore fece trasportare Nazario nel tempio di Giove per sacrificarlo. La leggenda narra che tutti gli idoli si infransero e Nazario fu rivestito di luce. Avvertito del fatto Nerone condannò sia Nazario che Celso all’annegamento in mare.

Furono imbarcati a Civitavecchia ma una volta preso il largo e gettati in mare si scatenò una tempesta che investì la nave romana. I marinai impauriti e convinti che la bufera si fosse scatenata per l’ignominia del martirio dei due condannati, li reimbarcarono e la tempesta cessò.

Impauriti dal pensiero di tornare a Roma dopo aver disatteso gli ordini dell’Imperatore, i marinai spiegarono le vele verso nord e sbarcarono a Genova, città ancora libera e alleata con l’Impero. Nazario e Celso individuarono una comunità nelle colline di Albaro e da lì iniziarono la loro evangelizzazione in questa terra. Albaro ha quindi il primato di aver visto le celebrazioni delle prime Sante Messe in tutta trasparenza e libertà.

Compiuto il loro apostolato a Genova, Nazario e Celso si prodigarono nel diffondere la Parola in tutta l’Italia Nord-Occidentale, e la tradizione narra che passarono anche da Mendatica. Giunti a Milano i santi trovarono in catene i fratelli Gervasio e Protasio. Nazario e Celso li confortarono nell’attesa del martiro.

A quel tempo nella città lombarda gestiva il potere in nome di Nerone il crudele Antolino, che venuto a conoscenza delle esortazioni nei confronti di Gervasio e Protasio, condannò Nazario e Celso alla decapitazione. L’infame esecuzione avvenne nella località “le muraglie” nel 76. I loro corpi furono sepolti nelle vicinanze del luogo del martirio, e lì rimasero fino alla riesumazione voluta da Ambrogio circa 300 anni più tardi.